Oggi a Roma il funerale di Papa Francesco mentre si prosegue con l’organizzazione del conclave: dopo l'”extra omnes”, i cardinali sono chiamati a scegliere il nuovo Pontefice.
Oggi ospite di Siracusa News un gradito ritorno, mons. Antonio Staglianò, vescovo emerito di Noto e presidente, proprio su nomina di Papa Francesco, della Pontificia Accademia di Teologia.
“Il primo ricordo risale all’inizio del suo pontificato – ha detto – quando per la prima volta incontrò i vescovi italiani. Allora ero vescovo a Noto. Dopo l’incontro, mentre stavo andando verso Santa Marta, stavo parlando al telefono con mio padre, che era molto malato. Mi girai e vidi il Papa da solo, con la sua borsa. Gli dissi: “Santità, sto parlando con papà che è ammalato.” E lui chiese subito il telefono, parlò per ben cinque minuti con mio padre. Fu impressionante. Poi camminammo insieme verso Santa Marta, chiacchierando come se fossimo amici da sempre. Ricordo volentieri questo momento perché mostra la grande umanità di Papa Francesco, un tratto costante del suo magistero fino all’altro ieri”.
Che tipo di settimana avete vissuto lì a Roma?
“Ovviamente una settimana di profondo dolore e tristezza, anche perché questa morte è arrivata in modo improvviso. Nei giorni precedenti, il Santo Padre era ancora attivo: venerdì, ad esempio, è sceso in cucina a Santa Marta e mostrava una certa vitalità. Forse è stata proprio quella vitalità che gli ha permesso domenica di incontrare il popolo di Dio quasi per salutarlo di persona. Non è stato un bagno di folla, è stato un bagno di popolo. Papa Francesco, da vescovo latinoamericano, sentiva profondamente il rapporto umano e diretto con il popolo. Noi vescovi occidentali abbiamo un concetto più teologico del “popolo di Dio”, mentre per lui era qualcosa di quasi carnale. Per questo motivo, nessuno si aspettava che morisse il giorno dopo. È successo all’improvviso, per un ictus. Ora viviamo nella preghiera e nella certezza che, per la speranza cristiana, il Santo Padre è in paradiso, ha incontrato Gesù di cui ha sempre parlato, nonostante qualcuno abbia detto che parlava d’altro. Ma chi ha ascoltato le sue omelie, letto i suoi documenti, le sue lettere encicliche, sa bene che Papa Francesco ha parlato solo di Gesù e ha voluto riportare tutto il Vangelo anche nella struttura stessa della Chiesa”.
È stato Papa Francesco a volerla alla guida della Pontificia Accademia di Teologia. Che rapporto avevate? Cosa pensava della sua Pop Theology?
“In un’assemblea con i vescovi italiani, disse di aver letto il numero cinque dei miei libretti sulla Pop Theology quando ero vescovo a Noto. Era rimasto colpito. Ricordo che fu padre Sessa a portarglielo durante un’udienza del mercoledì e lui disse pubblicamente: “Potrebbe anche essere tutta sbagliata, ma è un tentativo per uscire fuori dagli episcopi e comunicare.” A me ha fatto piacere. Forse è stata proprio quella lettura a convincerlo che potevo dirigere l’Accademia, ma dentro un progetto: la lettera apostolica Ad theologiam promovendam, che aggiorna gli statuti della Pontificia Accademia e chiede una teologia sapienziale, capace di entrare nella vita reale della gente. Abbiamo lavorato molto su questo. Gli scrivevo ogni volta che c’era qualcosa da comunicargli, e lui rispondeva sempre, con piccoli appunti scritti a mano. Mi ha anche nominato rettore della Basilica di Santa Maria in Montesanto, la Chiesa degli Artisti, dove abbiamo sede. Era convinto che linguaggi come poesia, musica e letteratura potessero essere vie per comunicare il Vangelo, soprattutto ai giovani. Quando gli ho regalato lo Zibaldone della Pop Theology mi scrisse per ringraziarmi e mi sembrava davvero contento. Credo che questa Pop Theology abbia ricevuto il sigillo di questo grande Papa, che ha voluto che anche la teologia sapesse di carne e di popolo”.
Parliamo un attimo di conclave. Che aria tira lì a Roma?
“Comprenderete bene che questo è un tema più da giornali e gossip. Attualmente regna un grande silenzio, fatto anche di preghiera. I cardinali stanno arrivando da tutto il mondo e si stanno organizzando, decidendo quando iniziare il conclave. C’è anche il problema del numero: Santa Marta non riesce a contenere tutti i cardinali. Io stesso sto lasciando l’appartamento per liberare due stanze. Per quanto riguarda il conclave, dobbiamo avere un approccio spirituale. La Chiesa è sì organizzazione, ma soprattutto è un sacramentum, un segno visibile di una realtà invisibile: l’azione dello Spirito Santo. I cardinali dovranno lasciarsi guidare dallo Spirito per scegliere il nuovo Papa. Il prossimo Papa dovrà necessariamente mettersi in continuità con Francesco, pur con la sua originalità. Non ci sono rotture radicali nella Chiesa. Il magistero di Papa Francesco, anche se sembrato innovativo, è in profonda continuità con la tradizione. La dottrina non è cerebrale, non è scritta nei libri. È l’amore di Cristo fatto carne. Puoi dire di non essere eretico perché credi nella Trinità, ma se non ami, se non accogli il migrante, se non hai occhi per il dolore, allora la tua Trinità è solo teoria. Io ho scritto un trattato sulla Trinità, ma davanti a Dio sarò giudicato sull’amore, non sui libri. Papa Francesco ha fatto proprio questo: ha detto che Dio è amore, solo amore, e ci ha chiamati a vivere come fratelli tutti”.
Mi pare di capire che lei auspica una linea di continuità con Papa Francesco.
“Il prossimo Papa sarà il successore di Pietro e anche di Papa Francesco. Dovrà assumere l’eredità di questo grande Pontefice e, con la creatività necessaria, affrontare i nuovi problemi della fede. Cambiano i tempi, ma l’amore resta il cuore di tutto”.
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